Rosaria urla, in modo spaventoso, come se la stessero
torturando, quando arrivi al quinto piano e la senti, la prima cosa che pensi è
“oddio cosa le stanno facendo” la seconda è “dove sono capitato”. Rosaria
doveva essere una bella donna, adesso appare solo come una malata di mente su
una sedia a rotelle, magrissima, coi capelli rasati e la testa piena di
cicatrici, ma ha due occhi grandi, chiari. Rosaria urla, si lamenta come se
qualcosa le stesse stracciando il cuore, urla i nomi di chiunque passi davanti
alla sua stanza; infermieri, medici, visitatori abituali… ormai conosce tutti,
è da più di un anno che è ricoverata qui, quando poi qualcuno si ferma a
chiederle cosa vuole improvvisamente si calma e con una voce da bimba risponde
sempre le stesse tre cose: “Cioccolata”, “gelato” oppure “mi accompagni giù?”.
Rosaria urla, continuamente, non si ferma un attimo, per darle e darci tregua
ho preso l’abitudine di comprare 5 tronky giù al bar dell’ospedale, la mattina,
quando cerco di entrare, e spesso ci riesco, prima dall’orario di visita dei
parenti, e quando proprio non ne posso più gliene do uno e lei passa in un
attimo dalla disperazione più atroce ad una educazione docile e calma che non
ti aspetti, smette di urlare e esclama pacata “grazie signore” e un attimo dopo
ricomincia a strillare come se avesse un coltello conficcato in petto. Rosaria
urla, disperata, è stata un po’ adottata da tutti qui al quinto piano, anche
perché la sua unica figlia in più di un anno sarà venuta a trovarla solo un
paio di volte, e l’ultima volta che venne Rosaria si accorse che indossava la
fede, che prima non aveva, e allora cominciò a urlare più del solito, come se
qualcosa le stesse stracciando il cuore, è forse quella volta lo stava facendo
per davvero. Rosaria più di un anno fa ha scoperto suo marito a letto con
un'altra donna e si è buttata dal terzo piano, da allora vive al quinto piano
di questo ospedale. Io a Rosaria ci voglio bene.
Maria è molto timida, parla pochissimo, è più in carne
rispetto a Rosaria tanto che ci sta a stento sulla sedia a rotelle, ed è quasi
sempre depressa. Il fratello viene a trovarla tutti i giorni, Luigi, fa il
pompiere e tante volte viene da lavoro ancora con la divisa addosso, è un omone
col pizzetto dai modi un po’ rozzi che entra e esce da reparto senza che
nessuno gli dice niente, forse per il timore che incute. L’ho vista piangere
tante volte Maria e mai ho sentito la
sua voce, soprattutto quando il fratello la tratta un po’ male, ma lui è la
classica persona che dimostra il suo affetto con la forza delle braccia e le
ore di sonno mancanti, magari ha i modi un po’ bruschi ma è qui, tutti i
giorni. Chiacchieriamo spesso io e Luigi, forse perché siamo simili, le
classiche persone che ai “ti voglio bene” preferisco i metri di pizza quando
sai che stasera a casa nessuno avrà voglia di cucinare. Solo una volta ho
sentito parlare Maria, quando ha visto
Antonio, l’infermiere giovane, carino e gentile di cui è innamorata, quello che
si prende le cazziate dal Primario perché non ci caccia dopo l’orario di
visita, ci guarda e dice: “ può urlare quanto vuole, io non vi caccio!”, chissà
qual è la sua storia di disperazione. “Maria hai visto c’è Antonio?!” urla
imbarazzando anche me il fratello, e lei “Antò.. bicchiere..” intuisco che si
tratta forse del bicchiere con le pillole che deve prendere, Antonio però è
indaffarato, sta facendo il “giro” e le risponde distrattamente “Uè Maria
dopo..dopo..” ma a Maria basta, e per la prima volta la vedo sorridere. Io a
Maria, Luigi e ad Antonio ci voglio bene.
Sergio è il portantino, potrebbe essere il sosia di Nicola
Di Bari, sembra uscito dagli anni 60 con tanto di occhiali con la montatura
pesante e basette troppo lunghe, è magrissimo, a volte mi chiedo come fa
spingere due pazienti con le sedie a rotelle insieme, chiama tutte le donne,
anche le più anziane, “Signorina” e tutti gli uomini, compreso me, “Dottò”. Ha
2-3 battute standard che si gioca quasi tutti i giorni tipo “ adesso andiamo in
discoteca!” quando porta qualche paziente a fare gli esami, oppure “oggi zuppa
di cozze e alici fritte!” quando arriva il pranzo, nella vita reale non
farebbero ridere nessuno ma qui diventano ossigeno puro e qualche sorriso,
compreso il mio, lo rubano sempre. Sergio mi da sempre un “passaggio”
sull’ascensore ad uso esclusivo del personale e una volta mi ha raccontato che
suo figlio è stato in coma per 2 mesi. Io a Sergio ci voglio bene.
Le “tre Marie” sono tre sorelle che ho soprannominato così
perché non ne ricordo i nomi, sono tutte e tre più o meno sulla cinquantina,
vestono come se arrivassero dalla “Casa nella Prateria” e riesco a distinguerle
solo perché una porta gli occhiali, un'altra ha i capelli corti e l’ultima ha i
capelli lunghi. Accudiscono a turno il fratello Vittorio, uno di quelli che non
si muove, non parla, mangia dal tubicino nel naso e l’unica cosa che sembra
viva in lui sono gli occhi, tante volte c’ho chiacchierato con gli occhi di
Vittorio, specie quando lo incrociavo in ascensore e magari entrava qualcuno e
diceva “buongiorno” alle sorelle senza abbassare lo sguardo e salutare anche
lui, i suoi occhi si incazzavano senza rattristarsi come a dire “non è che se
non posso rispondere non mi merito neanche un buongiorno, maleducati!” e io con
gli occhi gli davo ragione. Le “tre Marie” sono portatrici sane di ansia,
riescono a farsi prendere dal panico anche per un ascensore che arriva un
minuto più tardi, o per una finestra che non si chiude bene ecc.. è un ansia
contagiosa, ma Vittorio sembra abituato ormai. Io alle “Tre Marie” e a Vittorio
ci voglio bene.
La signora Teresa ha due figlie, ha avuto un’operazione alla
testa e non muove il braccio e la gamba destra, inoltre la sua malattia ha
intaccato l’area del cervello che elabora il linguaggio, in pratica pensa a
cosa vuole dire ma non riesce a dirlo, deve essere bruttissimo ma ha detto il
dottore che poi recupererà, forse per questo spesso mi appare di una comicità
ineguagliabile, chiama la figlia come a volerle chiedere qualcosa
“Imma!!!....(silenzio)… uffa!” è diventa esilarante quando sostituisce quel “uffa”
con qualche parolaccia pesante. Non mi conosce ma si fa spostare o mettere
sulla sedia a rotelle da me. E questa fiducia da parte di una persona estranea ed
anziana mi lusinga. Io alla signora Teresa e alle sue due figlie ci voglio
bene.
In un mese in questo ospedale ho sentito le storie più
assurde e mi sono fatto più amici che in
33 anni di vita, forse perché si respira un umanità che rende i rapporti umani
più semplici o semplicemente come dovrebbero essere, come quando quel ragazzo che
veniva da “fuori” si presentò in reparto coi suoi 4 figli tutti piccolissimi,
il più grande forse aveva 9 anni non di più, e quando gli dissi “guarda che qui
i bambini non li fanno entrare” lui mi spiegò che aveva fatto 4 ore di macchina
e che sua moglie era lì ad assistere sua mamma in coma “ me li guardi tu per un
po’?” e me li affidò senza sapere neanche come mi chiamassi, glielo lessi negli
occhi quello che non mi disse “si vede, sei disperato quanto me, di te mi posso
fidare” così nascosi i 4 bimbi dietro al distributore automatico e per tenerli
buoni dovetti finire la mia scorta anti-UrladiRosaria di tronky.
Rosaria Urla, ma ho finito le scorte, Mamma è alla 502, mia moglie sta facendo le valigie, alle 15 arriva l’ambulanza, ci ha detto che
vuole tornare a casa sua, dopo 6 giorni è morta davanti ai miei occhi. Voglio
ricordarla così come è vissuta; amando e pensando prima agli altri, soprattutto
quelli “più sfortunati”, e poi, solo un po’, a se stessa. Cià Mà.
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