martedì 15 luglio 2014

Ode al Callo Di Trippa



Il fier trerruote è la tua carrozza

Sovrano incontrastato del mercato

Felere di limon apparano la puzza

 Se sol ti vedo già sono affamato

Della vaccina el puorco tu saresti scarto

Ma per fortuna ancora luogo esiste

dove ti scose come fosse sarto

Il carnaccutaro e l’arte sua resiste

il centopelle come velluto affina

il pere doma con il coltelaccio

la lengua scostumata ancor depila

e il musso affella senza alcun intralcio

ti schiea per dentro a un cuoppo oleato

t’annaffia del sacro limon sfusato

di aulive e lupini al fine sei adornato

e da un bel cuorno lui ti fa salato 

t’annuso come fossi una picchiacca

quel fieto che la femmina respinge

ma l’ommo attira e anche se è una vacca

par che l’ormone non s’accorge o finge

e con le mani al fine io ti agliotto

di sciorda e di colera non curante

del tuo sapore sono troppo ghiotto

e del tuo fetore sono fedel amante

e quando addento una fella di zizza

con tutto il mio sensuale entusiasmo

come fosse di donna a me m’attizza

mi sembra quasi di avere un orgasmo.

Oh caro callo di trippa son tuo schiavo

Al mondo mi confesso senza vergogna

Forse perché è da tanto che non chiavo

Ma io t’amo pure se tu fieti di fogna.



sabato 5 luglio 2014

I Frati



Un uliveto cingeva la piazzola di sosta, le reti verdi per la raccolta erano ancora vuote, dall’altro lato della strada un canale di bonifica di epoca mussoliniana era stato invaso da un canneto alto almeno 3 metri che chiudeva la visuale sulla vallata, il sole picchiava forte alle 2 del pomeriggio, solo un ronzio di insetti che pulsava regolare e puzza di merda di vacca secca, Enzo scese dalla macchina e allargando le braccia mise in bella mostra le sue ascelle sudate mentre dalla camicia, troppo avvitata per il suo fisico, usciva lardo e pelamma…
“Giuà… ci siamo persi...mannacciocazz…”
Giovanni: “ma il tuo navigatore?”
Enzo: “sta dando i numeri, secondo lui siamo già arrivati da un paio di chilometri..”
Giovanni: “ma almeno sai in che Comune ci troviamo..”
Enzo: “il navigatore dice..Mordor..”
Giovanni: “…ah si… dopo Montesarchio… l’ho vista la freccia...”
Enzo: “ma dico io sta cessa e tua cugina con tanti ristoranti che ci stanno a Torre del Greco..”
Giovanni: “tu hai ragione… ma quella è incinta.. si doveva sposare in un posto lontano dove non la conosce nessuno… per lo scuorno.. è capì?..”
Enzo: “chella cessa..”
Giovanni: “eh..”
Enzo: “intanto io tengo na cazz e famm…”
Giovanni: “a chi o’ dic..… senti Enzù, non ci resta che adottare i vecchi sistemi…domandiamo a qualcuno..”
Enzo: “Giuà ma dopo che ti sei sposato quella vacca di tua moglie hai imparato a parlare il vacchese?” … Enzo salutò Carmela, la moglie di Giovanni, accennando un sorriso e un occhiolino… lei rispose dalla Multipla sigillata simulando meno zoccolaggine del solito forse a causa dell’intontimento da aria condizionata e Biagio Antonacci… “… ccà ce stann sul vacche…”
Giovanni: “enzù… ma la ncopp… che rè? Na chiesa?”
Enzo: “addò?”
Giovanni: “là oì..”
Enzo: “ah si.. agg vist.. me par na specie e Monastero..”
Giovanni: “e ci sarà qualcuno dentro no?.. nu prevete.. nu monaco.. nu sacrestano.. che ne sacc..”
Enzo: “non abbiamo scelta.. jamm a verè..”
I due compagni di matrimonio si incamminarono su quello che sembrava un rettilineo ma che ben presto si rivelò “sagliuta infame”, cercando di camminare più sotto al ciglio della strada possibile e usando lo scolo dell’acqua piovana a mo’ di marciapiede, dopo varie sdunucchiate, un paio di carogne di bestie non ben definite e un sonoro “addò v’arresecat!!” che sovrastò il rombo scostumato dell’apecar da cui era stato con tanto vigore declamato, arrivarono su un piazzale che dava sulla vallata, una specie di terrazza il cui confine era delimitato da panchine e platani disposti alternativamente  in modo regolare, in fondo la visione di un monastero di pietra chiara, bello, maestoso, diede per un attimo ristoro ai fisici e alle menti dei due malcapitati, ma l’effetto durò poco a causa dello scarsissimo livello di  interesse culturale di cui erano provvisti, e infatti si fiondarono sulla fontanina sulla destra la cui forma fallica era stata occultata dal muschio e dalle vespe. Si bagnarono polsi e nuca senza pronunciare parola per risparmiare fiato, e usarono quella illusione di ricarica energetica che l’acqua ghiacciata gli aveva dato per arrivare fino al portone del Monastero..
“Giuà …” affannosamente riusci a dire a stento Enzo… “managgiocazzz….” Segui un’altra pausa teatralmente impeccabile… “abbuss!..” simulando più fatica e affanno del dovuto per esimersi da un compito così pieno di responsabilità, pensando che se li pigliavano a maleparole, o peggio a colpi di libotto, avrebbe comunque avuto meno colpa perché in fondo non era stato lui a bussare…
Giovanni che aveva sgamato la codardia dell’amico fin da subito valutò in un attimo che il rischio di una così futile responsabilità di colpa era comunque ridicolo in confronto alla fatica che sentiva in quel momento e per ridurre i tempi di sofferenza concluse che era meglio abbozzare ed eseguire l’ordine.. “addò s’abbuss??…”
Enzo: “stu cos e fierro ccà.. comm se chiamm?..”
 “stu pirulicchio qua?.. o’ fattappost insomm..” disse Giovanni mentre la mano che a stento aveva alzato quel battente di ferro pesante crollo sul legno del portone sotto il peso della fatica.. “ma che strana forma ten stu coso… me par proprio nu ca..”
“CHI E’???” tuono una voce stridula impostata a solennità ecclesiastica…
Giovanni. “scusate, padre, vorremmo chiedervi un informazione..”
Dal portone si aprì una piccola finestra della cui presenza non si erano accorti e comparvero due monaci, non vi so dire se erano francescani, domenicani o altro, avevano il saio questo si, e il cordone alla vita anche se annodato in modo strano; due nodi grossi da i quali scendeva una specie di cappio…
Fra’ Liborio: “ma qua padre? Io figli nun ne teng!!”
Fra’ Gesuardo: “ihihihihihihi…”
Fra’ Liborio aveva le braccia e le gambe magrissime, ma una panza a melunessa americana talmente gonfia che anche da sotto al saio si poteva distinguere l’ombelico che si era smerzato per lo sforzo, la faccia rugosa e cadente, capelli bianchi contenuti in una fila di lato inpeccabile che profumava di bergamotto, occhi strettissimi e un neo enorme e peloso sulla guancia destra.
Fra’ Gesuardo era magrissimo, basso, la faccia di anziano e lo sguardo di un bambino, il pizzetto, capelli neri e sporchi con la fila in mezzo.
Giovanni: “scusate se vi ho offeso, ma come vi devo chiamare?”
Fra’ Liborio: “chiamaci Frati!”
Giovanni: “giusto.. scusatemi ancora.. frati..”
 “figurati… o frat tuoje!!” disse Fra’ Liborio marcando sul finale e fissando il confratello..
Fra’ Gesuardo: “ihihihihihihi… ahahahhahaha…”
Giovanni: “in realtà.. frati… ci siamo persi…”
Fra’ Liborio: “Non si dice persi… si Dice Spersi!!!”
 “ihihihihihi.. Fra’ Libò stai proprio in forma oggi!” la voce stridulissima di Fra’ Gesuardo vibrò per tutto il convento..
Giovanni e Enzo si guadarono un po’ sorpresi, un po’ avviliti, al che Enzo scansò Giovanni e si fece avanti…
“stiamo cercando….” Si mise gli occhiali da vista e cacciò un bigliettino da visita.. “l’agriturismo… “La Cularda D’Oro”… specialità carni alla brace… Via Santa Eustacchia, 36.. località…..Montetruzzo..”
Fra’ Liborio ormai in loop con un sorrisetto ebete, sempre la stessa cadenza e lo sguardo malizioso rivolto verso Fra’ Gesuardo “Noi non li conosciamo i ristoranti…. Stiamo a Dieta!!”
Fra’ Gesuardo: “ihihihihihihi… uà si proprio nu comico Libò..”
Enzo non  proferì parola, allibì, guardò Giovanni e non sapeva se ridere o piangere…
“Ma almeno mi sapete dire in che paese siamo?” provò a chiedere dando l’ultima occasione ai frati..
Fra’ Liborio: “ o’ paese e’ pullecenelle…!!”
Fra’ Gesuardo: “ihihihihihih…ahahahahah.. me fai murì…”
Intervenì Giovanni “vabbè .. scusate il disturbo frati… buona giornata..”
Fra’ Liborio: “buonagiornata a voi.. figurati… o’ frat tuoje!!” stavolta rise sul finale e abbasso il capo per guardare negli occhi il confratello..
Fra’ Gesuardo: “ahahahahahahaahaha…. O’frat tuoje… ihihihihihihihih… me fatt tropp parià Libò…”
chiusero la finestra lasciando Enzo e Giovanni immobili fuori al portone a fissarsi interdetti mentre dal convento si sentivano risate sempre più fastidiose che aumentavano man man che i Frati raccontavano l’accaduto agli altri confratelli, Enzo fece cennò con la testa a Giovanni di avviarsi verso le auto sussurrando un sommesso e rassegnato “manacciocazz..”
“Enzù… ma che caspita e Frati so’ questi??” ruppe il silenzio Giovanni..
Enzo: “Giuà che t’aggia dicere… a me me paren prop e Frati ro Ca…”
Giovanni: “ENZO ENZO!! Ma guarda le vetrate del Convento… ma che forma strana hanno?…”
Enzo: “addò?..”
Giovanni: “Là.. Oì!!!”